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#interviste. Santino Smedili “La classe di cartone”. Un altro tassello della nostra microstoria

Scritto da il 22 Dicembre 2021

Santino Smedili torna in libreria con un nuovo e interessante libro “La classe di cartone” (Lombardo Edizioni).

L’autore riporta alla memoria il decennio degli anni ’60, contribuendo alla ricostruzione della microstoria della nostra città.

«Si parla di una Milazzo diversa – sottolinea Santino Smedili nel corso della nostra intervista – rispetto a quella che conosciamo oggi».

Infatti Santino Smedili ricostruisce i vecchi confini fisici, psicologici e sociali degli anni ’60 riportando alla memoria persone realmente esistete, coloro che hanno contribuito ad arricchire il nostro patrimonio culturale.

«La maggior parte dei nostri lettori si riconosce nei miei libri – precisa l’autore – le storie che racconto hanno la capacità di far tornare indietro nel tempo i lettori della mia epoca. Attraverso la lettura rivivono episodi, avvenimenti, situazioni e persino persone che credevano di aver dimenticato».

Il libro “La classe di cartone” è diverso dai libri precedenti – lo è persino dal libro che l’autore ha già in cantiere e che pubblicherà probabilmente nel 2022 – nonostante il focus dei suoi lavori sia sempre la seconda metà del ‘900, l’ambientazione milazzese e lo sguardo rivolto al recupero della memoria.

E ancora giovani, scuola, pregiudizi, amori, politica…

Scoprirete di più nel corso della nostra intervista. Per il momento soffermiamoci sul titolo: “Una classe di cartone”.

Ma cos’è realmente una classe di cartone? Si tratta di un titolo metaforico? Un’allusione? L’autore fa riferimento a una classe che non esiste? Oppure a una classe privata di un corpo dicente di ruolo e costretta ad andare avanti con supplenti che non riescono a dare continuità ai programmi scolastici?

Niente di tutto questo. Ma allora cos’è la classe di cartone?

«La classe di cartone – svela Santino Smedili – era un’aula che venne realizzata verso la fine degli anni ‘50 in un momento in cui la popolazione scolastica stava cominciando a crescere. È stata realizzata in un corridoio con dei fogli di compensato per cui, in modo dispregiativo, venne definita la “classe di cartone”. Chi andava a finire lì aveva una brutta nomea e, in qualche modo, era discriminato. Non veniva considerato un ignorante, però c’era discriminazione».

La discriminazione esiste ancora oggi, anche se non è più accentuata come nel passato.

Santino Smedili precisa: «Io mi baso molto sul principio della discriminazione perché già allora c’erano alunni di serie A e alunni di serie B. Io non mi sono mai sentito un alunno di seria A o B, perché poi è la scuola, è la vita a fare la differenza. I pregiudizi erano alimentati anche dagli insegnanti e non si esaurivano a scuola, si notavano durante gli esami di terza media e di quinta elementare».

I pregiudizi di cui parla l’autore erano costruiti sul ceto sociale degli alunni.

«Se i ragazzini provenivano da famiglie privilegiate non avevano impedimenti, al contrario, invece, se provenivano da ceti sociali più umili non avevano gli stessi trattamenti. Oggi sappiamo che ragazzi e ragazze provenienti da famiglie umili spesso sono riusciti a progredire meglio di chi ha avuto maggiori possibilità. Infatti nel libro si parla anche dei voti meritati e non meritati, dei ragazzi che sono riusciti a emergere in società nonostante i genitori non avessero quella copertura economica che si richiede. Ci tengo a precisare che non è una polemica ma una descrizione della realtà, un fatto sociale, dato che nel mio libro affronto anche problemi sociologici».

L’autore precisa che osservando il passato ha registrato le tante differenze con i ragazzi di oggi, sia dentro, sia fuori la scuola. Il suo approccio metodologico gli ha permesso di cogliere tutte le sfumature comportamentali dei giovani da una generazione all’altra. Ognuna ha le sue peculiarità, figlia del suo tempo, nonostante lo scarto di un decennio.

 

La classe di cartone, quindi, esisteva davvero. E Santino Smedili ci dice di più.

«La classe di cartone era la prima F. e questo significava che la popolazione milazzese stava aumentando. Anche se non c’era una seconda F».

Negli anni ’60 Milazzo era molto diversa. I passaggi a livello di San Paolino e del Parco disegnavano confini interni, invisibili, che i ragazzini difficilmente superavano. Il centro non era certo quello di oggi, ampio e sempre in espansione, ma riguardava il Borgo, via Umberto I, la zona di Vaccarella, la Basilica di San Francesco da Paola. Il resto era tutta campagna.

«La vecchia scuola media Luigi Rizzo era nell’atrio del Carmine, nell’attuale Palazzo Municipale. All’epoca erano collocate diverse scuole: Luigi Rizzo, l’Istituto Tecnico Commerciale, di fronte al salone dei Carmelitani c’era il Magistrale del prof Scibilia. Ricordo che nell’atrio del Carmine c’erano centinaia di alunni che andavano avanti e indietro, verso il Bar Castelli per prendere un gelato o un panino da consumare nell’ora della ricreazione».

Santino Smedili, l’autore del libro, ci ha riferito che la seconda F non c’era.

«Perché non c’era? Perché mancava lo spazio. Noi siamo stati gli ultimi a frequentare la scuola media Luigi Rizzo all’interno dell’atrio del Carmine. Dopo di noi la scuola è stata spostata in via Risorgimento. Io parlo anche di questo passaggio. La scuola nuova scuola fu inaugurata dal sindaco Giuseppe Ruvolo, che legò il suo nome a Luigi Rizzo per due motivi: inaugurò la scuola e il monumento dedicato all’ammiraglio».

Il libro di Santino Smedili, infatti, offre anche una chiave di lettura sociologica. Ascoltando le sue parole mi viene in mente la pedagogia, Paulo Freire e le sue lotte in brasi, l’istruzione superiore divisa in due, da una parte i Licei per famiglie facoltose e dall’altro gli istituti tecnici. Due percorsi che segnavano già interi percorsi. Certo la nostra Milazzo non ha nulla di quelle lotte sanguinose e di quella povertà sfrenata, ma i pregiudizi e le corsie preferenziali, le rotte sbagliate e imperfette, hanno fatto parte della nostra storia. Tutto questo serve a mettere insieme, uno accanto all’altro, i tasselli della nostra microstoria.

Tante microstorie ricostruiscono l’anima sfaccettata e complessa della grande Storia.

«Dopo la scuola media – continua a raccontare l’autore – il percorso continuava con la scuola superiore. Di solito si sceglieva la scuola che i nostri genitori sognavano per noi, perché noi eravamo gli alunni di serie B e avevamo bisogno di un riscatto. Quindi abbiamo preferito scriverci al Liceo».

«In questo libro mi sono ispirato ad altri personaggi che hanno fatto il Liceo classico e sono stati molto apprezzati. Per esempio Stefano Cartesio, il sindaco di Milazzo, il Sindaco La Rosa, e tanti altri che abbiamo rintracciato con il tempo».

Per Santino Smedili il Liceo non è soltanto una scuola. È un simbolo di riscatto sociale molto forte, vissuto da una generazione che ha lasciato un segno profondo.

«Mi è piaciuto tratteggiare queste persone, sia per il fatto di appartenere alla stessa scuola, sia come personaggi del tempo. Il sindaco Cartesio lo troviamo negli anni ’60, Tindaro La Rosa alla fine della guerra, l’avvocato Morabito negli anni ’60, li steso Prof. Rampone negli anni ’70, ma anche il Prof. Magistri. Sono tutti personaggi che ci hanno accompagnato in quel decennio e che noi abbiamo conosciuto e approfondito».

Nel libro “La classe di cartone” si parla anche di sport.

«Ecco lo sport. Parlo di persone che sono rimaste dentro di noi come i portatori sani di un messaggio sportivo. Pippo Maio per esempio… parlare di lui a Milazzo significa parlare di pallavolo, se dico Mario Romagnolo sai che parlo di calcio, se nomino Ciccio Mellina allora è la pesca subacquea. Ma ce ne sono stati anche altri nel mio libro».

Le fonti iconografiche inserite nel testo contribuiscono a riportare alla memoria i volti, i sorrisi e i luoghi della nostra storia.

 

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