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#recensione teatro. “Dacci libero Barabba”, monologhi e danza, specchio sull’anima nel contesto dell’immigrazione di ieri e di oggi

Scritto da il 29 Agosto 2020

Toni drammatici, luci dirette sui corpi e colori essenziali per lo spettacolo teatrale “Dacci libero Barabba” di Viviana Isgrò, regista della Compagnia de Il Circolo delle lucertole. Prodotto insieme all’Asd Sicilia danza Musical School di Gianni Martino, con la collaborazione del Maestro di canto Marco Sindoni. Lo spettacolo ha debuttato ieri sera nell’Atrio del Carmine del Comune di Milazzo (ME).

Come lo scheletro di una treccia, dove ogni ciocca si lega perfettamente all’altra, la pièce teatrale – tra coreografie intimistiche, monologhi incisivi e canti intricati – ha delineato il dramma dell’immigrazione attraverso la lenta rivelazione di una lettera scritta da un immigrato italiano nel secolo scorso e disponibile tra i documenti consultabili in internet.

Sul palco pochi colori. Il contrasto del rosso e del nero dei costumi dei ballerini nei moduli più accesi, oppure l’accostamento con il bianco, là dove le parole arrivano dirette al pubblico. Costumi molto semplici e simbolici, al pari della scenografia. Sullo sfondo i musicisti Giuseppe De Pasquale e Sara D’Amico hanno accompagnato i monologhi e le letture degli attori Carmela Catalano Puma, Andrea Rappazzo, Giulia Lanza, Salvatore La Spada, Cristiana Oteri, Sabrina Mautone, Marco Abbate, e la stessa regista Viviana Isgrò.

Una croce molto alta al centro della scena, in un angolo del palco una sedia e un tavolino per ricreare l’intimità di uno spazio e un leggio sul lato opposto. I pochi elementi hanno messo in risalto l’assenza, l’abbandono e la solitudine, ma anche la ricerca di umanità e di sopravvivenza.

Gli attori e i ballerini si sono spogliati, non solo letteralmente, per diventare anime che si muovono occupando tutto il palco e scendendo persino tra il pubblico, ora con le valigie di cartone e gli sguardi smarriti, ora raggiungendo gli angoli e rimanendo immobili alle pareti dell’atrio per diventare solo voci che gorgogliano dalla coscienza.

Le luci, sempre proiettate ad attirare l’attenzione sui personaggi ritagliandoli dallo sfondo, a metà dello spettacolo si sono raffreddate, accompagnate da un clima musicale burrascoso, hanno anticipato un cambio di paradigma: dalla negatività alla speranza, dall’umiliazione subita dagli immigrati italiani alla lotta e alla Resistenza. Vivo, sono partigiano, odio chi non patteggia, odio gli indifferenti.

La recitazione, nello stile della regista Viviana Isgrò, è molto diretta; come per “Majara”, si fa uso di un tono modulato e realistico e si rivolge al singolo spettatore. Penso al monologo sulla dittatura, dove la stessa regista ha recitato indossando una maschera mettendo l’accento su: Siamo tutti uguali! Ma alcuni animali sono più uguali di altri!

Dopo ogni lettura o monologo, una coreografia del Maestro Gianni Martino per i ballerini Claudio Maio, Andrea Torre e Dalila Scimone.

Movimenti fluidi, talvolta asciutti e spezzati, altri armoniosi e corali, passi presi dal jazz e dalla danza moderna per un rapporto personale con lo spazio e il tempo della narrazione. Infrangendo le leggi della parola, la danza racconta il bisogno di umanità, di contatto e di profonda solitudine dovuta alle circostanze.

Il pubblico ha seguito lo spettacolo con interesse riflettendo, inevitabilmente, sulla crudeltà con la quale vengono trattati gli immigrati di oggi. Si dimentica infatti che, per parafrasare una frase tratta da uno dei monologhi in scena, gli immigrati sono uomini e donne come noi che per paura di morire nella loro terra hanno dato il cuore all’oceano.

“Dacci libero Barabba” è uno specchio sull’anima nel contesto di una piaga sociale dalle ampie dimensioni. Non un messaggio politico né religioso, come è stato ribadito dalla voce narrante nell’introduzione della pièce. Si mette in scena l’aspetto umano dell’immigrazione, non il tema trattato in modo approssimativo ma osservando le singole storie, dove i buoni e i cattivi non sono mai su due fronti opposti.

Un messaggio di amore e speranza rappresentato dalle due scene di forte contenuto psichico, l’inizio e la fine della pièce, dove Gesù attraversa lentamente la platea tagliandola in due metà per salire sul palco: nella scena iniziale muore e nella chiusa risorge, sperando che molto presto l’umanità smetta di ucciderlo ogni giorno per scegliere Barabba.

“Sono molto contenta del risultato – dichiara la regista Viviana Isgrò – abbiamo lavorato sullo spettacolo dopo il Covid e gli attori sono tutti nuovi, abbiamo fatto un casting di selezione e lavorato molto. Ringrazio le volontarie che ci hanno aiutato agli ingressi, il service e i Maestri Gianni Martino e Marco Sindoni. Abbiamo creato uno spettacolo sulla struttura di un mosaico partendo dall’immigrazione, argomento molto attuale, mettendo in scena la lettera reale di un immigrato italiano, la cui vita era molto simile a quella di un immigrato di oggi. Loro andavano in un isolotto per essere identificati, venivano portati in infermeria, andavano in un centro di permanenza temporanea, venivano insultati… Era un po’ per far ricordare alla gente che quello che noi ora stiamo dicendo agli altri, in realtà i nostri antenati l’hanno subito. Dal monologo sulla dittatura siamo passati ai partigiani per dare un messaggio positivo e far vedere che c’è una speranza. Noi crediamo in Gesù però poi commettiamo delle cose che Gesù non approverebbe”.

Uno spettacolo inclemente e coraggioso che non fa sconti a nessuno, nemmeno a chi preferisce nascondersi dietro le etichette del pregiudizio o a chi è convinto di potersi salvare con l’indifferenza.

Adesso aspettiamo la replica di “Majara”, primo spettacolo di successo prodotto dalla collaborazione tra Il Circolo delle lucertole di Viviana Isgrò e dall’Asd Sicilia danza Musical School di Gianni Martino.

 

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