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“Questa terra fra le mani” mostra di Victor Fotso Nyie a cura di Elettra Stamboulis. Uno sguardo afrofuturista

Scritto da il 16 Gennaio 2022

Dopo l’importante personale a Ferrara a Palazzo Turchi di Bagno, organizzata in seguito all’assegnazione del primo premio Biennale Don Franco Patruno di novembre 2021, sarà possibile ammirare le opere di Victor Fotso Nyie anche a Faenza, città in cui vive e lavora.

Victor Fotso Nyie è protagonista di una suggestiva esposizione, nella quale emerge una poetica ormai definita e matura, ancorata alla grande, sapienza tecnica perfezionata in Italia e ispirata al forte desiderio di comunicare valori e temi della sua cultura di origine.


Curata da Elettra Stamboulis, la mostra offre nel titolo Quella terra tra le mani una chiave di interpretazione esplicita e ironica al contempo delle sue installazioni in ceramica del giovane artista di origine camerunense e di formazione italiana. Le figure antropomorfe create con grande maestria dall’artista rappresentano con determinazione, ma anche con un tocco ironico, il saccheggio dell’arte africana da parte del colonialismo europeo prima e delle super potenze poi.

Certo, l’aggettivo determinativo “quella” non è chiaro a quale terra faccia riferimento, ed è proprio in questa ambiguità che si gioca l’ottimismo onirico di riappropriarsi del proprio patrimonio.

Come afferma Fotso Nyie, la sua poetica «è caratterizzata dal tema della “riappropriazione” del patrimonio culturale africano da parte delle nazioni d’origine. I miei antenati sono stati privati dai coloni di oggetti molto importanti per le loro funzioni sociali, politiche e religiose
perché considerati “souvenir” esotici. Il grande problema dell’esportazione coattiva di questi strumenti e della loro alienazione in altri Paesi sta affliggendo più che mai le nuove generazioni. La gioventù africana è costretta a venire in Europa per conoscere la propria
storia, per vedere da vicino cose di cui ha solo sentito parlare o di cui ha letto nei libri. […]

Di conseguenza essi hanno il dovere di custodirli ed esporli, incuranti dell’irreversibile processo di disidentificazione e devalorizzazione che hanno innescato. Il mio lavoro intende dar voce a questa necessità di riscoperta identitaria e di riscatto morale».

Due bambini in fuga con un prezioso carico di ceramiche, un uomo giovane e fiero nella cui mente si stanno risvegliano memorie ancestrali, uno ragazzo che sogna teneramente abbracciato a un idolo tribale: le rappresentazioni di Fotso Nyie sono presenze conturbanti e potenti, poetiche ma decise a riaffermare le ragioni di una ricerca di radici ugualmente espressa nella forma e nella sostanza, senza dimenticare tutto l’amore per una tecnica appresa in Camerun e perfezionata in Occidente. Un nuovo equilibrio, forse possibile seppure mai definitivo, si profila così in queste opere che ci parlano di un altrove ma ci ricordano l’impegno a cui tutti noi siamo chiamati, qui e ora.

 

Scrive Elettra Stamboulis nel suo testo critico “Uno sguardo afrofuturista”:

L’afrofuturismo è nato ieri, ma ha come orizzonte solo il domani. L’aspetto peculiare di questo poliedrico movimento estetico, nato sostanzialmente negli anni ’70 e ’80 tra gli afroamericani, ma divenuto ben presto un prisma comune alla diaspora africana nera in generale, è l’indagine sul tempo. Movimento composito, fatto di artisti visivi, musicisti (da Sun Ra ai Public Enemy), teorici e attivisti/e, ha nel suo DNA l’immaginare una giustizia più vasta e una più libera soggettività nera nel futuro. Futuro che può essere anche distopico: l’aspetto però che non manca mai in questo tipo di sguardo è la messa in discussione della temporalità lineare. Il termine fu coniato da Mark Dery
nel 19941, che esordiva citando Orwell chi controlla il passato, controlla il futuro: chi controlla il presente, controlla il passato”. Dery partiva da un quesito formale, perché gli intellettuali afroamericani non fanno science fiction? Non immaginano il futuro? E per rispondere, interrogava una serie di importanti testimoni, per scoprire che non c’è un unico modo di porre quesiti sul futuro.
Victor Fotso Nyie è sicuramente un artista che interpreta il mondo utilizzando gli occhiali afrofuturisti. Lo fa utilizzando una tecnica antichissima, primordiale, che Cavalli Sforza2 considera provenire dall’Africa Sahariana come i geni, i popoli, le lingue, circa 100.000 anni fa. Proprio il genetista di Stanford, che utilizza diffusamente dati genetici, la mappatura del DNA, l’archeologia e la linguistica, definisce la cultura come il più valido strumento di adattamento biologico. Nelle figure antropomorfe di Victor, che evocano nelle forme qualcosa di profondamente arcaico, sopito nel nostro subconscio archetipico, lì dove alberga la percezione della nostra comune specie, c’è un
elemento ironico, che rompe la prevedibilità della forma, inserendo una possibile “futurità”, a partire dai due gemelli (un elemento prettamente autobiografico, sono la rappresentazione dei suoi fratelli minori) che reggono un vassoio patrimoniale dorato. Oggetti scomposti e anacronistici, che portano il passato del patrimonio africano naufragato e saccheggiato, ad una tavola imbandita di futuro. “Che cosa se ne potrebbero fare di una restituzione ora del patrimonio de-identificato e sottratto al suo tempo i miei fratelli?”, si chiede l’artista. Certo, la memoria ha gole profonde, ristagna e forme pozze dove meno ce l’aspettiamo, in attesa che la corrente riprenda. Non ha un andamento lineare, ci dice l’afrofuturismo. E così il ragazzo dormiente, con la copia di un’opera originale tradizionale tra le mani, immagina un futuro possibile, ma ancora che rimane onirico. Il sogno è un elemento ricorrente e trasparente in questa serie di lavori: da Rêve lucide in cui il sogno lucido porta ad una possibilità di allattamento dorato a Suivre ses rêves in cui l’aspetto autobiografico si connette alle aspettative di un continente. Il mondo inconscio culturalmente inesplorato di generazioni diventa terra tra le mani ed è forgiato dal giovane camerunense con
estrema maestria tecnica unita ad uno sguardo acuto, un Regard passioné per citare un altro titolo, ironico, ma anche determinato e non subalterno.

La figura inquieta di Vue céleste che guarda spietatamente lo spettatore che si riflette negli occhi incavati e dorati ci ricorda quanto il sacro ci riporti alla nostra limitatezza, al nostro limite materiale e visivo, al nostro sguardo che spesso ha orizzonti supinamente post coloniali.
La graine qui germe è quindi una promessa, una scommessa, un intento civile e artistico. Il seme che può germogliare dalla riconnessione con la propria storia culturale potrebbe costituire un parto intellettuale nuovo, dorato, sorpreso. E Victor ci ricorda che questo cambiamento è possibile.

 

L’artista
Victor Fotso Nyie è nato a Douala, in Camerun nel 1990, dove si è inizialmente formato. Si è poi trasferito in Italia nel 2012 per motivi di studio. Conseguito il Diploma di Tecnico Superiore per la progettazione e la prototipazione dei manufatti ceramici presso l’Istituito Tecnico Superiore Tonito Emiliani di Faenza, nel 2017 si è laureato a pieni voti in Mosaico all’Accademia di Belle Arti di Ravenna e ha frequentato il Biennio di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Vive e lavora a Faenza. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti.

 

Info sulla mostra:

Faenza, Galleria Comunale d’Arte La Molinella voltone della Molinella, 2
15 gennaio – 31 gennaio 2022
Apertura martedì e giovedì 16:30 – 19
Gli altri giorni su appuntamento chiamando o inviando un messaggio whatsapp al 3451663714
Il vernissage si è tenuto sabato 15 gennaio ore 17,30


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