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Si incontrano dopo 50 anni. Sono le donne che andavano da ‘a Signura’ Iarrera di Bastione: generazioni con una storia in comune

Scritto da il 26 Settembre 2019

Con la brezza del mare e l’odore della terra incastonata tra le pietre, Milazzo è uno scrigno di storie da svelare. Qualcuna più visibile perché legata alla storia, qualcun’altra da scovare tra l’edera del tempo e riportarla alla luce. E come un mosaico, ricostruirla con i frammenti dei ricordi.

Così può capitare di notare un lungo tavolo di donne fiancheggiare la staccionata di un lido affacciato sul mare e osservare come quelle donne, con dita attente, sfogliano vecchie foto in bianco e nero perdendosi in sguardi attraversati da brezze lontane.

Donne di diverse generazioni. Amiche, alleate. Si rincontrano dopo moltissimi anni portando qualcosa di indelebile legato alla spensieratezza della giovinezza, a un modo di vivere che non c’è più, ai giorni trascorsi nella casa di Bastione di una donna chiamata ‘a Signura’, ai segreti e agli amori sussurrati intorno a un grande tavolo su cui si cuciva. Punti di vista differenti che si intersecano evocando un passato comune.

Sono le donne che andavano ad apprendere il mestiere del cucito, con la pioggia e con il sole, trascorrendo intere giornate.

E questa è la loro storia.

«È una serata emozionante, molto speciale per noi – racconta Domenica Nania. – Ho organizzato l’evento cercando tutte le mie sorelle, persino quelle che non sentivo da 53 anni. Per me sono tutte sorelle, per questo le chiamo così. Infatti le ringrazio tutte per la serata, e ringrazio anche i mariti presenti per averle accompagnate».

Da sinistra a destra: Francesca Scibilia, Graziella Cuciti e Domenica Nania

Come nasce l’idea di riunirvi?

«È nata per caso, parlando con Francesca Scibilia, un’altra donna del gruppo con il quale non ho perso i contatti. Entrambe avevamo il forte desiderio di rivedere le altre, e dal risultato credo l’avessimo tutte. C’era bisogno di qualcuno che si mettesse all’opera, così l’ho fatto io. Ho cercato tutti i numeri domandando alle amiche, ci ho messo un po’ di tempo, telefonavo tante volte al giorno ma è stata una bella soddisfazione. Molte erano soprese di sentirmi dopo tutti questi anni».

 

Qual è stata la sua esperienza?

«La prima volta che ci andai avevo 16, forse 17 anni ed eravamo una quarantina. Sono rimasta con loro per un bel po’. Ci arrivavo a piedi, tutti giorni da San Marco e rimanevo fino alle 19.30. Andavo anche in inverno, come moltissime altre ragazze. Poi c’era chi ci andava solo d’estate. La cosa che più ricordo è l’armonia tra di noi, non ho mai avuto da ridire su nessuno. Era una bella sartoria che teneva molto ad insegnarci. Ora siamo tutte qui… mamme, nonne. Qualcuna più legata di altre. Io e Graziella, per esempio, eravamo sempre insieme nel periodo estivo, infatti nacque un’amicizia particolare. Lei veniva solo d’estate perché d’inverno andava a scuola ma non tutte studiavamo. Ricordo che il marito della sarta era un uomo rigido. Eravamo tantissime ragazze quindi ci teneva d’occhio, soprattutto quando passava un ragazzo. Il pensiero era sempre quello!».

Domenica Nania sorride divertita mentre Graziella Cuciti fa una precisazione.

«Ci sono stati amori nati in quegli anni che durano ancora, infatti molti si sono sposati! Sono amori nati mentre si andava a prendere il gelato, durante la pausa. Qualcuno è stato favorito dalla mia complicità! Ero piccola, quindi nessuno poteva mai sospettare di me!».

In un tavolo più giù, i mariti.

L’esperienza di Graziella Cuciti risale ai suoi otto anni.

«Non c’erano le colonie estive o le attività di oggi, quindi ai miei tempi si andava dalla sarta e io ci sono stata fino all’età di 16 anni. Poi ho detto a mia madre che non ci sarei andata più perché due mesi di vacanze volevo farle!».

 

Cosa si faceva all’inizio? Come si cominciava?

«Con le imbastiture. Lo scopo era quello di riuscire a realizzare un prodotto finito, quindi abiti sartoriali. Per noi la signora Iarrera era tutto, non solo una brava sarta ma diventava una sorta di madre. E credo sia grazie a lei se noi oggi siamo qui e sentiamo di esserci ritrovate dopo tanti anni come se ci fossimo viste ieri».

Al lungo tavolo si trova anche la figlia della sarta, Natalina Torre. Oggi insegnante in pensione.

«Io non so cucire ma mia madre era una bravissima sarta, forse la migliore della provincia di Messina. Si chiamava Maria Grazia Iarrera ma tutti, nel comprensorio, la chiamavano ‘a Signura’. Sai, prima si usava inserire la parola ‘Donna’ che anticipava il nome, così c’era Donna Luisa, Donna Anna. Invece mia madre era ‘a Signura Iarrera’. Per tutti».

«Ricordo che c’era un tavolo lunghissimo sul quale mia madre tagliava la stoffa, e tutte le ragazze stavano intorno a questo tavolo. Prima di sedersi a cucire mettevano a posto la casa, a me facevano i boccoli, mi vestivano, ero la loro bambola! Era molto piacevole. Quando mia madre si assentava mi nascondevo sotto il tavolo per ascoltare i loro discorsi, soprattutto quelli che riguardavano i ragazzi!

Nella nostra sartoria si faceva di tutto, dai cappotti agli abiti da sposa, si lavorava sempre. Mia madre lavorava persino la notte di Natale. Questo perché aveva tante richieste, e nonostante lei si rifiutasse perché a volte non ci arrivava, alla fine finiva sempre per accettare tutte le commissioni».

«C’è un episodio che ricordo chiaramente… – continua la figlia della sarta –la sposa era in chiesa ma ancora, da noi, c’erano i vestiti di alcuni invitati che aspettavano di essere stirati e partati via. Di mia madre ricordo di non aver mai potuto festeggiare una festa con lei, perché durante quelle occasioni stava male, soffriva di tutta la tensione del lavoro che riversava così.

Le ragazze che venivano da noi a Bastione erano tantissime e provenivano da varie parti: da San Marco, Scaccia, Santa Marina, Santo Pietro, Fiumarella e pranzavano sempre con noi. Di conseguenza mia madre diventava anche un po’ la loro, quindi le proteggeva».

Sorride come ad acchiappare l’immagine di un ricordo appena riaffiorato.

«Se qualche ragazzo passava per la strada due volte, lei si metteva fuori con le mani sui fianchi per farlo sparire. Anche se in tanti matrimoni c’è il contributo di mia madre. Prima si usava andare a casa delle persone per chiedere informazioni sulle ragazze, e mia madre dava queste informazioni. Così sono nati matrimoni, alcuni sono qui e durano da una vita.

Essere qui stasera è molto importante per tutte noi – continua Natalina Torre. – Mancano tantissime altre persone perché siamo più generazioni ma non importa, lo spirito è quello ed è vivo. Tra l’altro mi fa effetto essere riconosciuta da tutte. Magari io non tutti i visi li ricordo, conosco di più le donne della mia generazione, però loro ricordano la mia infanzia… Abbiamo tutte qualcosa in comune».

 

 


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